Giochi di prospettiva

Giochi di prospettiva

8 Marzo 2023 0 Di kairosmag

« Quel mondo, quel tipo di umanità e di comunità, quel rapporto appunto con la natura… Era una vita di miseria, ma di grande dignità, quando l’uomo solo era in rapporto con la natura: la natura riconosce i suoi figli »

 

Attraverso queste parole, il celebre regista e scenografo italiano Ermanno Olmi descrive la sua terra natale: un “paradiso perduto”.

Alla memoria di questo mondo rurale ormai scomparso, Olmi dedica nel 1978 L’albero degli zoccoli, Palma d’oro al festival di Cannes e considerato, dalla critica, il suo capolavoro. Questo film critica un mondo profanato dal progresso tecnologico, una società moderna, industrializzata, basata sul consumo e sul profitto; una società materialista ed opportunista, una società nella quale, lo stesso Olmi ammette in più interviste, non si può avere fiducia.

Il film ebbe grande riscontro perché l’omaggio a scenari del passato generò ricordo e nostalgia per una grande fetta di pubblico, il sentimento che si può provare sfogliando un album di fotografie.

E una domanda sorge spontanea: come siamo arrivati fin qui? 

Alla ricerca di uno stile di vita accomodante e sicuro, appagante ma fatto di illusioni, tendiamo sempre di più ad assecondare la logica del consumo; ormai la nostra stessa identità è determinata in base a ciò che “consumiamo”: i nostri interessi, i nostri acquisti (spesso in relazione alle tendenze  del momento) ma anche, a livello più intimo, il nostro modo di pensare che si adatta ai tempi che cambiano costantemente.

Se prima il concetto di uguaglianza si basava sulla formulazione del filosofo Descartes «cogito ergo sum» («penso dunque sono»), che accomuna gli esseri umani in quanto esseri pensanti, attualmente ciò che accomuna le persone è diventato il consumo. Questa formula, infatti, è stata modificata dal sociologo moderno Zygmunt Bauman in «consumo, dunque sono» che sottolinea l’uguaglianza in quanto esseri consumisti.

L’obiettivo principale di Ermanno Olmi è sempre stato quello di raccontare delle storie: nella sua carriera, infatti, passa dalla realizzazione di semplici documentari all’osservazione più intima della quotidianità di uomini che lavoravano a stretto contatto con la natura; un contatto, questo, che si manifesta attraverso un’attenta analisi grafico-prospettica di tutto ciò che lo circonda: osservare il mondo attraverso i suoi occhi, un mondo dove ogni singolo elemento ha un ruolo preciso nella composizione espositiva della natura, un mondo rigorosamente schematizzato secondo criteri intimi legati ad uno specifico rapporto con la natura e con l’arte.

 

Il «maestro del silenzio e del sacro»: così fu definito Ermanno Olmi dopo l’osservazione critica dell’allestimento del Cristo Morto di Andrea Mantegna e della Pietà di Giovanni Bellini ideato dal regista per la Pinacoteca di Brera. Il presente progetto fu delineato secondo un’attenta valutazione dei dati storici e compositivi, con particolare attenzione ai valori prospettici, cromatici e alle potenzialità drammatiche, dando vita a una composizione a dir poco rivoluzionaria e strategicamente organizzata per valorizzare al meglio l’intento simbolico delle opere. 

Questa composizione è la massima espressione del tentativo del regista di far percepire all’uomo una certa profondità ormai dimenticata, una spiritualità oggi sostituita dallo scetticismo, un sentimento intimo chiaramente percepibile solo se si annulla ogni distrazione data dallo spazio circostante o ci si immerge in una simile opera simbolo di un’altissima manifestazione poetica.

 

Il messaggio dello scenografo è lampante: solo immergendosi nella natura possiamo ritrovare stabilità e pace, provare una certa sensibilità, percepibile anche attraverso un intimo e solitario viaggio all’interno di una silenziosa galleria d’arte, dove si celebrano in silenzio gli antichi valori ormai perduti.

Alessia Spatola