Nella bottega dell’artigiano – C’è un po’ di Seminara a Palmi
8 Marzo 2023 0 Di kairosmagIl borgo di Seminara ha un fascino senza tempo in merito alla realizzazione delle opere in ceramica. Ormai sono rimasti solo pochi mastri artigiani, discendenti artistici di quei “pignatari” che, coi loro colori accesi e manufatti, animavano le vie nei pressi della Basilica della Madonna dei Poveri (luoghi strategici per il commercio ai pellegrini) dove già nel 1746 erano attive ben 23 fornaci. Uno dei mastri superstiti, l’artista Giuseppe Ligato, ha aperto un’attività anche a Palmi, arricchendo la cittadina alle pendici del Sant’Elia con un laboratorio di ceramiche artistiche che sarebbe altrimenti mancato.
Chi vuole ammirare la varietà dei colori delle botteghe artigiane di Seminara a Palmi, può farlo visitando il Museo Etnografico “Raffaele Corso” alla Casa della Cultura “Leonida Repaci”, alla “sezione magia”, dove le spettacolari maschere apotropaiche di argilla smaltata lucida rendono subito riconoscibile la lavorazione seminarese così come la variegata collezione di “babbaluti” e di “bagnarote”, di cui parleremo più avanti.
Giuseppe Ligato ci ha accolto con calore e simpatia, mostrandoci la sua collezione e il suo piccolo tornio manovale antico dove, nei momenti di noia, si diverte a creare maschere, bottiglie, vasi che ormai le sue mani modellano quasi a memoria: “pé passari u tempu”, afferma sorridendo. Oggetti, questi, che Ligato andrà poi a cuocere nel suo forno di Seminara: “970 gradi a biscottu, a colori nci voli puru milli gradi”. Con una raccomandazione: “A rrobba non avi a nesciri mpizzata”, quindi il manufatto deve risultare liscio, senza grumi al tatto, o screpolato, altrimenti “a genti non di voli”. Due cotture per ottenere lo straordinario e perfetto risultato finale: “una a biscottu, e una a colori”, quindi una prima e una dopo la mano di pittura. Alcuni rimangono in argilla grezza, ma la maggior parte vengono colorati con gli smalti che a Seminara sono rappresentativi di ogni bottega artigiana: nel caso della famiglia Ligato, i colori principali sono giallo, marrone, blu. Rosso e verde sono stati introdotti di recente. Tre generazioni di pignatari, i Ligato, che ancora resistono al tempo e che hanno tentato di aprirsi una strada anche a Palmi. Il capostipite della prima generazione fu Antonio a cui seguì il figlio Domenico, e rappresentata ora da Giuseppe, che prende il nome dall’altro nonno illustre, il ceramista Giuseppe Ferraro.
Giuseppe Ligato ci ha accolto con calore e simpatia, mostrandoci la sua collezione e il suo piccolo tornio manovale antico dove, nei momenti di noia, si diverte a creare maschere, bottiglie, vasi che ormai le sue mani modellano quasi a memoria: “pé passari u tempu”, afferma sorridendo. Oggetti, questi, che Ligato andrà poi a cuocere nel suo forno di Seminara: “970 gradi a biscottu, a colori nci voli puru milli gradi”. Con una raccomandazione: “A rrobba non avi a nesciri mpizzata”, quindiil manufatto deve risultare liscio, senza grumi al tatto, o screpolato, altrimenti “a genti non di voli”. Due cotture per ottenere lo straordinario e perfetto risultato finale: “una a biscottu, e una a colori”, quindi una prima e una dopo la mano di pittura. Alcuni rimangono in argilla grezza, ma la maggior parte vengono colorati con gli smalti che a Seminara sono rappresentativi di ogni bottega artigiana: nel caso della famiglia Ligato, i colori principali sono giallo, marrone, blu. Rosso e verde sono stati introdotti di recente. Tre generazioni di pignatari, i Ligato, che ancora resistono al tempo e che hanno tentato di aprirsi una strada anche a Palmi. Il capostipite della prima generazione fu Antonio a cui seguì il figlio Domenico, e rappresentata ora da Giuseppe, che prende il nome dall’altro nonno illustre, il ceramista Giuseppe Ferraro.
Un bellissimo laboratorio contenitore di colori e ricco appunto di “contenitori”: i già citati “babbaluti”, per il nostro artigiano, sono solo dei simpatici personaggi “cuntra u malocchiu”. Negli anni, invece, queste bottiglie antropomorfe con funzioni verosimilmente apotropaiche, hanno incarnato il soldato spagnolo prima, il borbonico o i signorotti locali poi. O ancora, rappresentavano gli eroi della tradizione orale che a mano a mano venivano narrati nei racconti del focolare.
Altro oggetto prodotto in grande quantità (al Museo Etnografico ve n’è esposto solo un esemplare) è il boccale gabbacumpari o brocca “bivi se puoi”. Il nostro mastro ci descrive la sua composizione e funzione: “Si faci a tri pezzi, si faci, a palla, si faci u stoppinu davanti u manicu, pemmi si faci u scherzu o fidanzatu”; un boccale “del segreto o dell’inganno” piuttosto diffuso nell’Italia Meridionale del ‘600. Il maestro seminarese, prima di salutarci, ci mostra decine di portaceneri a facci i gattu, e poi le sue creazioni preferite come u cestinu ma anche u pignu, i ricci e u pisci. Immancabile poi il personaggio della Bagnarota, chi anticamenti iva mi pigghia l’acqua, e della campagnola, molto presente al museo di Etnografia e Folklore dette anche Calabriselle, o zambarbitane, e realizzate dagli altri mastri che, ancora oggi a Seminara, proseguono la leggendaria storia di quel borgo di fornaci, di arte e di mani che, a memoria, creano oggetti un po’ poetici: possono essere spiegati solo in parte, altrimenti, perderebbero la loro magia.
- Guido Donatone, da “Seminara – Dall’arte dei Pignatari alla ceramica d’arte”, a cura di Monica De Marco, Centro Studi Esperide Onlus, Pizzo (VV) 2011
Deborah Serratore