Come disse lo scrittore e traduttore italiano Paolo Nori, il cuore dell’essere umano sembra essere stato modellato da Fëdor Dostoevskij: attraverso una semplicissima frase, egli supera i limiti dello spazio e del tempo. Il protagonista delle Memorie del sottosuolo sembra riscoprire che la volontà è libera, e in quanto libera, essa libera anche il pensiero, che porta a perseguire il proprio svantaggio e la propria distruzione; riscopre che in una società interessata, abitudinaria e brutale, quell’uomo timido, che non era protetto né dalla condizione sociale, né da un’intelligenza brillante, fu costretto a rifugiarsi nel “sottosuolo” della sua esistenza.
Autodenigrarsi appare come un piacere vizioso che però non libera dal rimorso: per redimere un mondo così squallido, nel romanzo traspare la necessità, l’inappagata esigenza della fede, luogo di rifugio per l’anima di Dostoevskij, ma frutto di altrettante contraddizioni e problemi morali nella società moderna.