Alla ricerca di Santa Deodata
22 Settembre 2020Tempo fa, andavo a Bologna alla biblioteca dell’Archiginnasio, e passando da un paesino con un amico, mi fermai ed entrai in un esercizio commerciale. Lì mi trovai a discutere sulle mie ricerche, incentrate sui santi calabresi e sui loro genitori. Certi incontri non avvengono per caso e un signore accanto, ascoltando la conversazione, si rivolse a me dicendo di aver già sentito il nome di una martire, “Deodata”; perché, grazie a dei lavori di ammodernamento, avevano trovato in quel paese delle reliquie. Alcuni di quei resti appartenevano ad una santa non di quei luoghi e quindi sconosciuta: era Deodata, la madre di San Fantino il Cavallaro di Taureana di Palmi, proprio l’oggetto dei miei studi e ricerche.
Quella chiacchierata, mi aveva permesso di trovare preziosissime informazioni: nell’agosto 2007, fu rinvenuto un fondo di coppa in vetro a figure d’oro. Il prezioso reperto era chiuso all’interno di un reliquiario del XVII° secolo, costituito da una bacheca in legno e vetro, custodito nella Chiesa dei Ronchidi proprietà del Comune di Crevalcore (BO) che nel 1985 aveva acquistato il complesso, dalla locale nobile Famiglia Caprara.
Secondo la relazione archelogica del 2012 relativa al ritrovamento, il reperto è databile entro il IV° secolo, datazione supportata sia dall’iconografia dei santi rappresentati, che dal tipo di iscrizione augurale, caratterizzata dalla formula benaugurale “bevi e vivi” espressa in lingua greca latinizzata.
La bacheca, conteneva resti osteologici umani, accumulati alla rinfusa e mescolati a frammenti di tessuto e fiori finti in panno.
Il vetro dorato appartiene a una classe di materiali prodotti tra il II e il V-VI sec. d.C., caratterizzati da un’ampia diffusione soprattutto durante il III e il IV secolo, periodo in cui prevale la simbologia cristiana. Questo tipo di manufatto era ottenuto racchiudendo fra due strati di vetro una sottilissima foglia d’oro, che veniva incisa per rendere i contorni e i particolari dei temi raffigurati. Coppe e bicchieri a basso piede decorati sul fondo in questo modo, venivano poi conservati solo nella porzione inferiore e impiegati con una nuova funzione, spesso anche come segni distintivi delle sepolture, come dimostrano i numerosi rinvenimenti di oggetti di questo tipo affissi nella calce all’esterno dei loculi delle catacombe romane. Il monogramma cristologico presente tra i due personaggi, formato dall’intreccio delle prime due lettere greche X e P di XPIΣTOΣ (Cristo, in greco), indica che l’unica vera dottrina di Fede è quella cristiana: a sinistra, con barba e fronte stempiata, è raffigurato Pietro, riconoscibile al personaggio sulla destra, identificabile con Paulus, più che dall’iscrizione mutila di cui resta solo dalla S finale del nome.
Pietro ha il braccio destro proteso (distintivo delle scene di catechesi o di ricezione del rotolo della legge), mentre le braccia di Paolo sembrano unite in un atto difficilmente interpretabile a causa del deterioramento della foglia d’oro.
Entro la doppia cornice circolare è presente l’iscrizione [di] gnit [as am]icorum pie zeses (vanto degli amici, bevi e vivi!): l’invito al bere e alla vita, espresso in lingua greca latinizzata, trascende l’idea della felicità terrena, in particolar modo al rito del refrigerium, il banchetto in onore dei defunti e dei martiri.
Deodata
Sulla fronte del teschio, il cartiglio “Corpus Sanctae Deodatae” attribuiva i resti a Santa Deodata, martire del IV secolo.
Le analisi preliminari condotte sulle ossa della teca, hanno consentito al Laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia Forense Università di Bologna di fornire alcuni dati. Il reliquiario conteneva resti ossei di almeno tre individui, una donna di età compresa tra i 36 e 39 anni, più due individui rispettivamente di 15 e 9-10 anni di età.
L’enorme cura riservata al cranio denuncia una forte valenza devozionale, confermando al tempo stesso l’inganno percettivo tipico delle reliquie: la mandibola, ad esempio, è stata ricostruita utilizzando la costola di un bambino. L’analisi delle suture del cranio ha consentito di definire l’età del possessore, compatibile con un individuo di sesso femminile
Varie fonti agiografiche antiche ricordano, tra i santi martiri, ss. Fanzio e Deodata, genitori di S. Fantino il Vecchio o il Cavallaro il quale, ancora fanciullo, li avrebbe convinti a ripudiare gli idoli pagani e a credere in Dio. Per questo motivo l’intera famiglia sarebbe poi stata incarcerata a Siracusa.
Riguardo questo reliquiario ritrovato mi pongo due domande: Come è arrivata questa reliquia nel territorio di Bologna? E poi: questa reliquia era assieme alle catenelle che tenevano incatenati San Fantino e i genitori imprigionati a Siracusa e che sono state regalate alla chiesa di san Fantino di Venezia da un sacerdote e descritte negli inventari della stessa?
Mentre però Fantino sarebbe stato salvato da un angelo (riuscendo infine a raggiungere la Calabria e quindi Taureana), i genitori avrebbero subìto il martirio. Il taurianense visse tra la 2° metà del III e gli inizi del IV sec. d.C.
Tra le sante e martiri dei primi secoli del Cristianesimo, recanti il nome anche nella variante greca Theodota (Θεοδότη) abbiamo Santa Deodata, nata in Spagna a Toledo nel 611 circa; e Teodota o Deodata che subì il rogo a Nicea, in Bitinia, nel IV sec. d.C. Potrebbe però essere la stessa santa, Deodata di Nicea, venerata nella diocesi di Nardò in Puglia.
A Modica (Rg) abbiamo un quadro e un “santino” con l’immagine dei martiri ss. Fanzio e Deodata, genitori di San Fantino.
Il dipinto, raffigurante il loro Martirio, è opera d’autore ignoto. I coniugi, convertiti al Cristianesimo vennero sottoposti a torture e uccisi a Siracusa nel 304. La memoria liturgica dei Santi Martiri Fanzio e Deodata è fissata al 31 luglio.
Francesco Saletta